Se Ci Sei Timbra il Cartellino – La Storia dei Marcatempo

Da millenni gli esseri umani hanno cercato di misurare il tempo. Scienziati e matematici si sono applicati nell’invenzione di meridiane, calendari, clessidre e orologi di qualsiasi tipo per soddisfare il tracciamento della percezione che il tempo scorre inesorabile, anche quando lavoriamo. Il primissimo foglio di lavoro che annota le mansioni, orari di lavoro e paga risale addirittura al 1772 A.C. con il Codice di Hammurabi e da lì dei simili tentativi sono stati sono stati fatti dagli egizi, dai greci, dai cinesi e dai romani.

Senza alcuna sorpresa, durante il XIII secolo, gli artigiani medievali iniziarono a costruire orologi meccanici commissionati dalle parrocchie per scandire gli orari di preghiera durante la giornata. In questo modo, suonando la campana della chiesa locale, tutta la comunità era partecipe dell’attività religiosa e degli orari da rispettare. È singolare come a distanza di secoli questa pratica sia ancora parte della nostra quotidianità, con la certezza che la campana della chiesa di paese suonerà a mezzogiorno e all’ora dei vespri.

Benché questo metodo funzionasse per i villaggi rurali del medioevo, purtroppo non era abbastanza per le misurazioni scientifiche, la navigazione in mare o contesti in cui già si richiedeva una maggiore precisione. Eppure, in tutto il mondo, la maggior parte delle persone ha vissuto senza altra tipologia di orologi fino alla metà del 1900. Per centinaia di anni contadini, pescatori, mercanti e artigiani si sono alzati all’alba per andare a svolgere le loro rispettive mansioni per poi tornare al calar del sole, senza porsi il problema effettivo di sapere che ora fosse. Le agende delle persone erano dettate unicamente dalla natura: dalla luce diurna, dalle stagioni e dalle condizioni metereologiche, per cui le attività stesse variavano molto da un periodo dell’anno ad un altro.

Verso la metà del XVIII secolo la tecnologia manifatturiera cominciò a introdurre dei nuovi macchinari azionati da motori a vapore la cui velocità modificò per sempre la storia degli esseri umani. I ritmi di lavoro diventarono frenetici e per sostenere una produzione mai vista fino ad allora erano necessari operai continuamente performanti che, per non rischiare che il lavoro di ore andasse perduto, dovevano correre a tenere i fuochi accesi o a sostituire le bobine di filo che venivano consumate in un batter d’occhio.

L’arrivo dell’industrializzazione (1750 – 1870)

Fra il XVIII e il XX secolo, tutti quei lavoratori reclutati in campagna che fino a quel momento non si erano mai preoccupati di scandire il proprio tempo dovettero improvvisamente mettersi in coda, alla stessa ora, tutte le mattine, per timbrare il cartellino almeno un minuto prima dell’inizio del loro turno. Il tempo che veniva speso dai padroni delle fabbriche per disciplinare e standardizzare la giornata dei loro operai era esorbitante e la maggior parte di loro iniziò a dotarsi di impiegati il cui lavoro era quello di annotare l’orario di entrata degli operai su dei registri cartacei, antenati diretti dei moderni fogli Excel, che proprio come oggi si affidano alla buona fede di chi li compila e alla precisione della trascrizione manuale. 

Insomma, in ogni fabbrica ci si aspettava che il lavoratore fosse puntuale, pena una paga ridotta o qualsiasi clausola prestabilita prevedesse il regolamento aziendale. Nello stato di New York il Sig. Benjamin Hacks fece installare un orologio gigante all’interno della sua ferriera per misurare i tempi di produzione, mentre nel Massachusetts le industrie tessili adottarono un sistema di campane che suonavano rispettivamente all’apertura dei cancelli, a inizio turno, all’ora di colazione e di pranzo. Spesso le campane erano sostituite dal fischio del motore a vapore il cui suono acuto poteva essere udito dagli operai dalle loro case, così che potessero scendere dal letto ed andare a lavorare.

Un nuovo secolo

La svolta verso strumenti automatizzabili volti a conteggiare le ore di lavoro avvenne alla fine del 1800 con il primo tentativo fatto da Williard Bundy, il quale associò il funzionamento della macchina da scrivere ad un sistema di orologeria ottenendo la scrittura dell’orario di ogni operaio grazie ad un codice assegnato. Una seconda prova venne fatta da Alexander Dey nel 1893 che riuscì a registrare gli accessi tramite un braccio meccanico di una ruota che veniva semplicemente azionato dal lavoratore provvisto di numero matricola. Ma fu Daniel Cooper nel 1894 ad ideare un orologio in cui si poteva far passare un cartellino e stamparlo con l’orario di entrata di ogni singolo operaio.

L’invenzione di Cooper fu un successo e lo stesso anno nacque la Bundy Manufacturing Company, la prima vera azienda produttrice di marcatempo che spopolò fra tutte le fabbriche con molti dipendenti che necessitavano di un maggiore controllo. È proprio da questa impresa pioneristica che a seguito di alcune acquisizioni nasce nel 1911 la International Business Machines, o meglio conosciuta come IBM, la quale si è dedicata per numerosi anni alla produzione di marcatempo prima di concentrarsi esclusivamente sui calcolatori elettronici.

Nel 1915 alla Ford Motor Company erano presenti ben 129 marcatempo e tutti erano a loro volta sincronizzati con un orologio principale impostato sul fuso di Detroit. Il responsabile degli orologi doveva controllarli tutti durante la giornata per assicurarsi che tutto funzionasse a dovere e, in caso contrario, accedere ai sei pezzi di scorta che venivano tenuti in magazzino.

Thomas Edison timbra il suo cartellino in occasione del suo 74esimo compleanno nella sua bottega nel New Jersey
Orologio marcatempo IBM dei primi del '900

Un nuovo millennio

Alla fine degli anni ’70 nascono i primi orologi in grado di comunicare con i software per l’elaborazione paghe, una prima eccellenza italiana fu proprio quella di Zucchetti che già nel 1986 porta sul mercato l’offerta software per la rilevazione delle presenze.

Ed è proprio all’inizio del secondo millennio che l’avvento della tecnologia mette in scena una trasformazione senza precedenti: la digitalizzazione. Lo storico cartellino si è evoluto in “badge” (una comoda tessera che strisciata o passata in prossimità di un terminale registra subito le informazioni relative alla timbratura) per poi arrivare ad essere completamente virtuale grazie ad applicazioni e software che possiamo utilizzare comodamente dai nostri smartphone anche con accesso biometrico. 

Inutile dire che tutte le azioni che una volta ogni dipendente era costretto a fare per comunicare la sua presenza al lavoro oggi sono portate al minimo sforzo rendendo estremamente più fluidi una serie di processi macchinosi e obsoleti che decisamente non rispecchiano più la società moderna.

Quello che ci riserverà il futuro in termini di tecnologia lo lasciamo all’innovazione, noi dal canto nostro possiamo intanto goderci i privilegi di ciò che i nostri antenati non avrebbero mai immaginato. 

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